Elena fu la quinta dei sette figli di Giovan Battista Cornaro e Zanetta Boni. Le doti umane e caratteriali di Elena sono indubbiamente anche frutto di due genitori speciali: il padre, appartenente a una delle più importanti e prestigiose famiglie del patriziato veneziano, annovera tra gli avi celebri Caterina Cornaro Regina di Cipro (poi Signora di Asolo) e il bisnonno paterno Giacomo Alvise Cornaro, noto scienziato ai suoi tempi nonché amico di Galileo Galilei.
Anche Giovan Battista, Procuratore di San Marco, è conosciuto come mecenate e studioso di fisica: questi aveva ereditato ed ampliato nel loro Palazzo di Cà Loredan (attuale sede del Comune di Venezia) una biblioteca tra le più fornite, una collezione di quadri e di strumenti scientifici che attiravano dotti, letterati e scienziati da ogni dove.
Straordinario anche l'esempio femminile materno di Elena, la madre Zanetta Boni, che non essendo nobile convisse vent'anni ed ebbe con Giovan Battista i primi cinque figli (prima che si potessero sposare) mostrando una non comune libertà nei confronti delle convenzioni. Venne riconosciuta pubblicamente e dal marito come Uxor Optima, intelligente, fiera, e capace di educare figlie virtuose e stimate.
Giovan Battista si accorse subito delle rare qualità della figlia, e ne favorì in tutti i modi la crescita culturale ed il successo pubblico: era infatti del tutto straordinario che una donna emergesse nel campo degli studi, e un tale esempio di eccellenza avrebbe ancor più contribuito a dare lustro al nome della famiglia. La stessa Elena in più di una lettera (colloquiava in latino con il padre) dimostra di essere consapevole del desiderio paterno di accrescere il loro prestigio anche attraverso le sue doti e, non volendo deluderlo, concedeva di dar sfoggio quando richiesto delle sue competenze.
Fu così che ad Elena il padre volle assicurare la migliore istruzione: suoi insegnanti di greco furono, fino al 1668, Giovan Battista Fabris (parroco della chiesa di San Luca) e poi Alvise Gradenigo (bibliotecario della Marciana), che aveva vissuto a lungo a Candia, mentre il canonico di San Marco Giovanni Valier le impartì lezioni di latino.
Forse fu il gesuita Carlo Maurizio Vota a impartirle nozioni di scienze e Carlo Rinaldini, cattedratico a Pisa e poi a Padova, la istruì nella filosofia. Elena apprese anche l'ebraico e lo spagnolo dal rabbino di Venezia Shemel Aboaf e la teologia da Felice Rotondi, che divenne poi docente nello Studio di Padova.
Studiò matematica, geografia e astronomia e coltivò con passione la musica, nella quale ebbe come maestra l'organista Maddalena Cappelli, che fu per lei una fidata amica e compagna. Le vere passioni di Elena erano lo studio e la meditazione religiosa e così quando la famiglia le propose di sposarsi con un principe tedesco, lei trovò una soluzione alternativa che le permettesse di dedicare il suo tempo a ciò che amava, allo studio ed alla scrittura ma senza offendere la famiglia: nel 1665 prese i voti come oblata benedettina con dispensa di vivere in convento; sotto gli abiti normali usava vestire la tunica delle benedettine, ma scelse con libertà di vivere a palazzo Loredan, immersa nella sua nutrita e amata biblioteca, continuando la sua attività di studiosa.
La fama della sapienza di Elena arrivò in fretta in tutti i paesi e i migliori intellettuali desideravano disquisire con lei, porle domande e farle risolvere enigmi di ogni genere.
Gli studiosi italiani riconobbero a tal punto la sua erudizione da accoglierla come membro onorario nel 1669 nell'Accademia dei Ricoverati di Padova e, successivamente, nell'Accademia degli Infecondi di Roma, nell'Accademia degli Intronati di Siena, negli Erranti di Brescia e in quelle dei Dodonei e dei Pacifici di Venezia. Ogni volta che c'era un dibattito o un simposio era la benvenuta tra i dotti e tutti aspettavano le sue meravigliose arringhe e di ascoltare il suo punto di vista.
La sua fama si estese anche all'estero: il cardinale Federico d'Assia-Darmstadt la consultò nel 1670 su problemi di geometria solida; da Ginevra Louise de Frotté, nipote del celebre medico Téodore de Mayerne, invitò nel 1675 Gregorio Leti a inserire la Cornaro nella sua raccolta di biografie di personaggi celebri dell'Italia regnante; persino la Corte di Francia nel 1677 volle sincerarsi sulle sue enormi capacità , mandando il cardinale Emanuele de Bouillon che la fece esaminare dai due eruditi Charles Cato de Court e Ludovic Espinay de Saint-Luc, che ne rimasero ammirati.
Dopo che Elena ebbe tenuto a Venezia una pubblica meravigliosa disputa di filosofia in lingua greca e latina, sempre più vicino si dipingeva il desiderio soprattutto del padre Giovan Battista di candidare Elena allo Studio di Padova per l'assegnazione della laurea in teologia. Alla proposta tutti i professori si mostrarono favorevoli, stimando moltissimo la Cornaro; l'unico ad opporsi in modo categorico fu il vescovo di Padova, il cardinale Gregorio Barbarigo la cui autorizzazione, in qualità di cancelliere dell'Università, era vincolante. Egli sostenne che fosse «uno sproposito dottorar una donna» e che sarebbe stato un «renderci ridicoli a tutto il mondo». Ne nacque un conflitto tra il cardinale e il Cornaro, ma Elena senza battere ciglio preparò una dissertazione di due tesi su Aristotele e decise di laurearsi in filosofia.
Fu una giornata memorabile il 25 giugno 1678: la Cornaro sostenne la sua dissertazione lasciando tutti commossi per la qualità del suo lavoro. Fu accolta nel Collegio dei medici e dei filosofi dello Studio padovano a pieni voti e, poiché era la prima Donna "Magistra et Doctrix in Philosophia" della storia, la folla era tanta che all'ultimo momento l'Università dovette spostare la Laurea in Duomo; i testi del tempo parlano di oltre 30.000 persone!
Negli ultimi anni si trasferì a Padova e continuò la sua attività anche come esaminatrice di altre tesi per l'università di Padova. La sua natura cagionevole e le intense sessioni di studio, minarono la sua salute sino alla morte avvenuta prematuramente per tubercolosi nel 1684.
Di tutti i suoi testi non rimane più nulla: il ritrovamento di una breve poesia sull'amore divino ne testimonia il filo rosso che ha segnato tutta al sua vita.
Quando morì correva la voce: "è morta la Santa".
"S' ottenebra la Terra, il Sol s' oscura
E dal corso primier rivolto ei riede;
Vedova sta la sede,
Ove egli pria solea varcar l' Empiro,
Nè per questo io m' ammiro;
Che se in Croce sospeso è un Dio, che muore,
Convien, che mora ancor il Dio dell' ore.
L' infinito, umanato omai finisce,
Si risente perciò quel, ch' è finito,
E se il maggior ferito
Cadde, giust' è, ch' anche il minor ne pera,
E dentro fosca sera
Il Mondo stia di tenebre corrotte,
Fatto Fabbro da sè d' eterna notte
Lagrimate tutte, o Genti;
Del fattor, che vi creò,
Il figliuolo fra tormenti,
Per voi morte sopportò,
E pur ingrato l' Uomo al Redentore
L' offende co' peccati a tutte l' ore.
O del Genere Umano iniqua sorte,
Abbandonna la vita, e corre a morte"